L’incubo della recessione come rimedio dell’inflazione
Di Carlo Pelanda (9-6-2008)
Nei giorni scorsi Giulio Tremonti ha affermato che non si tratta di “inflazione” nel senso preciso del termine, ma di un’altra cosa. Cerchiamo di capire cosa intendesse perché riguarda la “madre di tutti i problemi” che dovremo affrontare nei prossimi mesi.
L’aumento
stellare dei prezzi, in atto, non è dovuto a fattori
inflazionistici interni, ma a cause esterne e settoriali: il costo petrolio è
schizzato talmente in alto da contagiare, qualche mese fa, tutti i prezzi. Nel
settore alimentare, poi, è avvenuta un’ulteriore
amplificazione. Il maggiore costo dei carburanti ha incrementato quello delle
produzioni agricole e, in generale, del cibo al consumo. Allo stesso tempo la
domanda di alimenti “ricchi” da parte dei Paesi emergenti ha preso un
andamento di massimo rialzo. La combinazione ha creato una domanda superiore
all’offerta e pertanto un aumento dei prezzi, a livello globale.
Il punto è che questa specifica causa di inflazione
non è facilmente correggibile dalla politica monetaria. Per esempio, in caso di inflazione interna dovuta a surriscaldamento della
crescita economica e della liquidità (in forma di credito) una Banca centrale
combatte, tipicamente, l’aumento dei prezzi alzando il costo del denaro che a
sua volta frena la crescita, riducendo la liquidità, e la domanda, costringendo
l’offerta a moderare i prezzi finali. Ma se
Ma, purtroppo, è ugualmente sensato il ragionamento della Bce. Anche se alzare i tassi e mandare l’economia in recessione non abbasserà direttamente i prezzi di petrolio ed alimentari, comunque ciò ridurrà la pressione su altri prezzi perché la gente avrà meno soldi. La recessione è comunque un mezzo indiretto per combattere l’inflazione energetica ed alimentare. Sembra folle - per difendere il valore del denaro si affama la gente – ma è vero: il cancro peggiore è l’inflazione, bisogna combatterla a tutti i costi, se il costo è l’impoverimento lo si faccia perché comunque male minore dell’inflazione stessa. E ciò rende credibile, anche se ancora non certo, il rialzo dei tassi europei nel 2008. Ci sono altre soluzioni? Certo, aumentare la produttività per ridurre i costi di produzione dei beni e così bilanciare i crescenti costi energetici, intervenire pesantemente sui produttori di petrolio, cambiare i limiti di produzione della politica agricola europea, produrre più energia con fonti integrative (eolico, solare, combustibile sintetico, ecc.) ed alternative (nucleare) e, soprattutto, rialzare il valore di cambio del dollaro in modo che il suo ribasso non costringa i produttori di petrolio ad alzarne il prezzo per mantenere la remunerazione in valuta comparata. Ma queste richiedono tempi lunghi, cambiamenti politicamente difficili e molto coordinamento tra i governi occidentali. Momento difficile.